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BASTAVA IL SUONO DEI TUOI PASSI

 

Amore mio,

non mi sembra ancora possibile… innamorata di un uomo, io…così piccola. Eppure è successo. Non è stato un colpo di fulmine, no. Anzi, all’inizio mi facevi paura, tu, così forte, così alto , così diverso da me. Ma sei tu che hai cercato la mia amicizia, che hai voluto che io mi fidassi di te.

Mi hai circuito con le tue offerte d’amicizia, mi portavi in regalo le cose che mi piacevano di più.

Parlavi. Mi parlavi a lungo. E sorridevi. Cercavi di convincermi ad avvicinarmi a te. Ma io non mi fidavo, non sapevo nulla di te, uomo grande apparso dal nulla e all’improvviso nella mia vita e non mi fidavo.

Avevo conosciuto altri uomini prima di te e avevano un’aria cattiva, marciavano con i loro passi pesanti e cadenzati attraversavano  il nostro territorio, offendevano l’aria con le loro voci sgraziate. Tu no, tu eri diverso..

Per questo mi sono lasciata convincere a farmi accarezzare da te. La prima volta che mi hai preso in braccio, tremavo tutta contro il tuo corpo. E tu hai cominciato ad accarezzarmi, e a consolarmi.

 Ti ricordi quelle prime volte, amore mio?

E’ stato forse quel giorno in cui mi hai preso fra le braccia e mi hai riempito di coccole che ho incominciato ad amarti . Dopo,  mi è sembrato di vivere in un sogno.

Ti eri costruito una capanna al limitare della foresta. Io, e solo io, potevo entrare ed uscire a mio piacimento: ridevi di gioia quando mi vedevi arrivare, mi chiamavi ..  E io non sapevo come esprimere la mia felicità se non con gridolini di gioia. Allora correvo a rifugiarmi tra le tue braccia , posavo la testa sulla tua spalla e osavo sperare che quei momenti non finissero mai

 A volte entravo anche quando non c’eri. Scavalcavo la finestra  e mi ritrovavo tra le tue cose.

Annusavo l’aria per carpire anche nella tua assenza l’odore di uomo che ti porti dietro.  Me ne stavo accoccolata tutto il giorno ad aspettare il tuo ritorno.  Ma bastava il suono dei tuoi passi per risvegliare i miei sensi. Allora il cuore cominciava a battere all’impazzata e  dovevo correrti incontro, gridando la mia gioia. Ridevi della mia accoglienza rumorosa, dicevi “ vieni qu,i scimmietta mia, perché sei la mia scimmietta, vero? E io mi accoccolavo contro di te, appoggiavi la testa contro la tua spalla e ti mi accarezzavi la testa, mi baciavi sulla fronte.

A volte,  mentre tu non c’eri, mi allontanavo nella foresta, arrivavo sino al piccolo stagno dove gli alberi grigi affondano le loro radici, mi fermavo lì sino al tramonto, Quando sentivo il tuo richiamo, allora sapevo che stavi tornando, allora mi mettevo a correre verso la tua casa, felice all’idea che ti di lì a poco ti avrei rivisto…

Che paura quella sera che non ti ho sentito. Ho atteso sino a che le ombre della sera non hanno avvolto tutto e poi mi sono messa a correre con l’ansia nel cuore. Ho guardato oltre la tua finestra. Tu c’eri, non ti vedevo, ma sentivo il suono della tua voce, parlavi con la stessa dolcezza che sino al giorno prima era stata mia. Parlavi. Ma con chi? Allora sono entrata e l’ho vista… vi ho visti: C’era una donna con te e il mio cuore ha perso un battito. Bella, alta quasi quanto te, una donna, e ho capito di averti perso. La musica delle tue parole adesso era per lei che ti guardava: lei ha il tuo stesso sorriso e il tuo modo di muoversi, ti assomiglia troppo perché tu non possa amarla. Io questo lo capisco, ma prima c’ero io, c’ero io…

Sono balzata dentro e l’ho assalita alle spalle, godendo della sua paura, cercando di graffiarla. Tu ti sei messo a ridere e hai detto: “ Non aver paura, Jane, è solo la mia scimmietta” e mi hai staccato da lei,mi hai allontanata, spinta  fuori, sgridata. “ ma che ti prende, che ti prende” continuavi a ripetere.” Non è possibile, eri così tranquilla..” 
.Sono rimasta dove mi hai lasciato, stordita, confusa,sola  con il mio stupore.

Perché in tutto questo tempo, tu, l’uomo grande, l’uomo forte, intelligente, non hai capito niente di  quello che provo per te e ti è bastato solo guardare una donna per respingermi al margine della tua vita.

Ma io continuerò ad amarti e a seguirti, cercherò di ignorare le fitte al cuore quando ti vedrò in compagnia di lei, ti sarò fedele nonostante te, Tarzan.

 Tua  Chita 

     

  L'  UNICA  DONNA
Amore mio,
ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?

Ho aperto gli occhi e ti ho visto. Era la prima volta che vedevo un uomo.  Non sapevo ancora se mi piacevi o no, ma i tuoi occhi esprimevano la mia stessa meraviglia e la tua bocca il mio stesso sorriso.  Ho teso le braccia e ho cercato di toccarti, ti sei scansato con un moto di paura. Paura perché? Me lo chiedo ancora, dopo tanto tempo, dopo che abbiamo imparato a conoscerci così bene e le nostre vite si sono intrecciate come i rami di quel fico gigantesco che è cresciuto spontaneo  nel nostro giardino. Di cosa avevi paura, amore mio? Di me? Di quella sconosciuta che voleva solo sfiorarti?

E poi, chi ci ha presentati, ha parlato. Una voce profonda  che sembrava provenire da lontano e invece era lì, vicino a noi e diceva: “ Eccola, è arrivata, te la presento… portala con te e falle vedere il tuo mondo, falle conoscere gli animali e le piante che ami. Parlale del sole e della luna e delle stelle.”  

Ti sei voltato verso di lui. Mi ha colpito il tuo sguardo: i tuoi occhi esprimevano un’ adorazione profonda, un amore totale. Mi sono domandata in quel momento se saresti mai arrivato a guardarmi in quel modo… ora so, ora lo posso dire: non è mai successo, nei tuoi occhi non è più comparso quello sguardo, neanche adesso, che sappiamo tutto di noi, e non possiamo più fare a meno l’uno dell’altra e i nostri nomi sono diventati inseparabili e io sono sicura che il tuo è un amore  unico, senza confini.

Quel giorno mi hai preso per mano e a me che chiedevo chi è, chi è quell’uomo? tu  hai risposto solo “ E’… è…lui è… ma imparerai a conoscerlo anche tu, lui è il padrone di queste terre, ma possiamo viverci , io e te, come vogliamo, possiamo nutrirci a sazietà di  ciò che troviamo,  non ti preoccupare.

Abbiamo incontrato animali sul nostro cammino e tu mi hai insegnato i loro nomi e alberi pieni di frutti e ci siamo saziati, abbiamo incontrato ruscelli di acqua limpida e abbiamo bevuto  ma io volevo sapere ancora e ancora di quell’uomo e ti chiedevo:” E’ davvero il padrone di tutto? “ e tu rispondevi solo” sì, noi siamo sulla sua terra, è tutto suo, ma imparerai a conoscerlo anche tu” . Forse nemmeno tu sapevi molto di più su di lui. E al tramonto mi hai aiutato a salire su un’altura erbosa e abbiamo guardato il sole che scompariva tenendoci abbracciati. Io ti amavo, ti amavo già. Ti riconoscevo troppo simile a me per non amarti.  Mi piaceva, mi piace, stare seduta accanto a te,  le mie spalle contro il tuo petto, le mani intrecciate.

“ Fra poco è notte, hai detto,  di qui la luna sembra più vicina, vedrai.”

Ho taciuto per non farti capire che non sapevo… non conoscevo la bellezza della luna e delle stelle. Siamo rimasti così sino a quando il buio della notte è stato illuminato da una luce opaca, di una bellezza che mozzava il fiato, ed era la luna, enorme, bianca,  rotonda. Ci siamo addormentati, protetti dai rami di un grande albero che protendeva i suoi frutti verso il cielo.

Siamo tornati mille volte su quell’altura, ci piace quel melo, ci piace sedere con la schiena appoggiata al suo tronco, fermi ad aspettare l’esplosione di rosso del tramonto, la serenità del bianco della luna e poi ritrovarci al mattino, abbracciati, guardare in su e provare a contarle, quelle mele, una ad una, senza mai riuscirci.

Stamattina un fruscio ha percorso i rami, un movimento  strano, che non era quello del vento. Ci deve essere un animale nascosto lassù, uno scoiattolo o un  canarino e alcune mele sono rotolate ai nostri piedi. Hai abbassato lo sguardo e ho letto il tuo desiderio, ma non hai osato raccoglierle. Sono entrata nei tuoi pensieri e so che non vuoi deluderlo, se viviamo qui è grazie a lui, se il nostro amore è eterno è perché lui ci ha fatto incontrare, per questo non vuoi rubare quei frutti a cui lui tiene tanto. Lo farò io per te. Oggi salirò da sola sulla collina, mi alzerò sulla punta dei piedi e ne coglierò una, cercherò la più tonda, la più rossa, cercherò in lei il colore del tramonto che ti piace tanto e te la porterò. Farò questo per te, Adamo, per te  che sei l’unico uomo della mia vita, e ti chiederò di ripeterlo… che anch’io per te, sono l’unica donna che hai mai amato.

 EVA

 

  

 UN RAGAZZINO SPECIALE

 

Ciao Guglielmo,

scrivo a te,che sei stato in questi primi mesi di scuola il mio insegnante e la mia guida,  ma vorrei scrivere a tutti i  miei compagni ad uno ad uno, perché, insieme a te, hanno   cambiato la mia vita. Non ne ho il tempo, per questo scrivo a te, sicuro che domani mattina entrerai in classe col tuo passo sicuro e leggerai a voce alta  queste parole. Scrivo e cancello, batto i tasti come mi hai insegnato tu.

Vedi. Qualcosa ho imparato.  Li vedevo sai, i tuoi momenti di sconforto e li capivo e cercavo di farmi perdonare pestando più forte sul  computer.

“ Stai  attento, dicevi, è questo il tasto che devi battere. Riprova. “ E sorridevi. Ma io sapevo che eri scoraggiato e mi dispiaceva, Guglielmo, davvero, anche se non avevo le parole per dirtelo.

E mentre scrivo vi vedo e vorrei dire a Ivan “ togli quella penna di bocca,” a Loredana “ sei molto carina quando ti fai la coda di cavallo, a Maria Laura” studia un po’ meno, non occorre che sai proprio tutto”, a Natalino” studia un po’ di più, faccio  sempre troppa fatica  a suggerirti le risposte di educazione tecnica”  E…   Emilia  smettila di guardare sempre verso il banco di Fabrizio, che intanto lui ha in mente solo  i suoi giochi sulla play 2 e gli occhi marroni di Lena, la biondina  secchiona  della II M.

E tu, Alvise, ti ho visto sai mentre cercavi di… oh ma questo non posso dirlo. Sarebbe come fare la spia. Ti pare?

La mia testa si riempie di ricordi.   Che si accavallano e si inseguono come le onde. Al primo tentativo di afferrarne uno e di fermarlo, ecco che diventa schiuma e si dissolve.

Mi hai insegnato a correre. Ore che dedicavi solo a me, al di fuori delle scuola. Venivi a prendermi la domenica mattina e ti portavi dietro  tre o quattro compagni di scuola, sempre diversi, perché potessi confrontarmi con tutti, dicevi. Aspettavo il tuo arrivo, ti vedevo scendere e sentivo il rumore della portiera che sbatteva, allora correvo giù per le scale.

Mamma non era contenta, sai, Guglielmo. Adesso te lo posso dire. Lei mi ha sempre protetto, troppo, diceva il medico di famiglia, troppo, ero d’accordo anch’io che spesso mi sentivo soffocato dalle sue attenzioni. “ sei più fragile di loro” diceva e mi accarezzava la testa e mi indicava i compagni che restavano  nel pulmino  ad aspettarci. Sei più fragile. Era il suo modo di dirmi che la colpa non è mia, se sono down. E poi mi spiegava che ero il suo bambino speciale, tanto speciale   da essere diverso dagli altri.

 Ma io   non voglio essere speciale, io non mi sento diverso. Sai quante volte ho provato a spiegarlo, questo,  alla mia mamma. Non sono mai riuscito a finire il mio discorso perché a un certo punto le si inumidivanogli occhi e  mi abbracciava così stretto da impedirmi di parlare.  Ma quando tu arrivavi col tuo carico di compagni, vedeva anche la mia felicità e mi lasciava venire. E io indovinavo il suo cuore in gola e immaginavo l’ansia con la quale avrebbe aspettato il mio ritorno.

Così in quelle domeniche ho imparato a correre  insieme a Oriano, a Simone, a  Ivan,   a Guido. E poi ci sedevamo a guardare le ragazze che cercavano senza riuscirci di superare i nostri tempi e tu dicevi, dai Marzio, vai con loro, un giro solo, fai vedere chi sei e io mi schernivo, no, io, no, prof, no, Guglielmo, io non ci corro con le ragazze.

Guardavamo Maria Laura, Ilde, Loredana che si affannavano dietro a Emanuela, Priscilla già pronta a ritirarsi al secondo giro, Romina che riusciva sempre a superare tutte all’ultimo momento.

 All’ora di pranzo, nelle giornate più calde, qualcuno tirava fuori, a turno, panini e coca. Natalino portava quei suoi  tramezzini stracolmi di maionese che ci colava sul mento e sulle mani appena li addentavamo e le torte salate preparate dalla mamma di Anna Rosa? così… salate che non riuscivamo a mangiarle. In quel momento invidiavo quasi Emanuela che si apriva il suo “cartoccio  speciale”  come lo chiama lei, di cibo per celiaci.

E poi, la domenica non bastava più. Tutti quei pomeriggi al parco, a fare footing e guai a non fare come dicevi tu. Non capivo perché. Non l’ho capito sino a pochi giorni fa, quando mi avete dato la notizia. Lo sapevate tutti, vero? E non mi avete mai detto niente. Dello sponsor, intendo. Che dovevate fare quella gara  e la dovevate fare per me. Che lo sponsor aveva messo a disposizione una certa cifra per la squadra che avrebbe vinto quella corsa. Era per questo che ci allenavi, Guglielmo, allora. E abbiamo vinto. E io ho corso per me, in mezzo a tutti voi, ragazzi, che correvate per me.

Perché questa è stata la sorpresa. Voi correvate per me e io non lo sapevo. Quella cifra, i soldi che lo sponsor ti avrebbe consegnato, Guglielmo, erano per me. Perché potessi partire e confrontarmi con altri ragazzi e ragazze e adulti.

  E la mamma li ha accettati come un regalo da parte vostra e poi si è commossa e ha detto sì, ma come fa a saperlo, professore, come fa a sapere che è un suo sogno, è per questo che l’ha allenato tutto questo tempo, vero? E poi ha abbracciato tutti quelli che erano lì, Alvise,  Priscilla,  Filippo, Simone, Romina e non la finiva più e io che chiedevo mamma , ma che succede, che succede e mi appendevo al suo braccio e ancora non capivo…

 Parteciperò alla maratona di  Parigi! E domani parto, con la mia famiglia.  E papà correrà accanto a me,  e scatterà una montagna di foto che guarderemo insieme al mio ritorno. Perché so che con la mente, sarete con me domani sull’aereo e poi con me a correre per le vie di Parigi.

Mamma sta per uscire. Lascerà questi fogli nella  tua cassetta delle lettere.

Ciao, Guglielmo, ciao a tutti.

E grazie

 Marzio

 

 

 

 

 

 

 

                       

 

 
 

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