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LA DONNA DAL KAFTANO BLU
Mi sveglio ad uno scossone del treno. Non volevo addormentarmi, ma è successo. Ora non riesco a capire quanto tempo sia passato dal momento della partenza.
Ho studiato il percorso a memoria. Ora, affacciata al finestrino, cerco il nome di una stazione, un punto di riferimento qualsiasi, ecco, trovato, no, il treno non può aver ancora fatto fermate, il momento deve ancora arrivare.
Mi siedo e non sono più sola come avevo sperato, progettato; c’è qualcuno, e non era questo che volevo, ho scelto quel treno perché so con certezza che a quell’ora di solito è vuoto, avevo sperato che non sarebbe salito nessuno, voglio restare sola, devo restare sola, sarà tutto più facile.
C’è una donna semi sdraiata di fronte a me, sembra addormentata, la testa abbandonata contro la spalliera del sedile.
Bella, di una bellezza che è perfezione: un viso luminoso, una massa di capelli che ricadono in riccioli sciolti sulle spalle, un lungo kaftano blu scende ad avvolgere completamente un corpo che s’ indovina snello, elegante.
Dov’è salita? E come ? Forse alla mia stessa stazione, in un altro punto del treno, forse ha cambiato semplicemente vagone…
Guardo dal finestrino del treno passare cortili di fattorie e vigneti e case, aspetto… ad una curva, fra poco, il treno rallenterà per entrare in una galleria, pochi minuti di buio, e poi, all’uscita, l’improvvisa esplosione di luce dei riflessi del sole sul mare, gli occhi abbagliati che non vedono più niente, non la spiaggia ciottolosa al di sotto dei binari, non il cancello puntuto sull’imbarcadero, solo la luce, abbacinante, travolgente, insopportabile, senso di distacco, attrazione, desiderio di essere una cosa sola con i raggi del sole, con lo sfavillio irrequieto sul mare, penetrare nella luce, dimenticare, smettere di soffrire, non si sa perché, non so perché… ma qui il treno riprende velocità e sarà quello il momento…un volo nelle luce, rimanere nella luce… per sempre.
Guardo in silenzio la donna davanti a me, non mi muovo quasi, per paura che si svegli, in tal caso…no, non importa, ormai è deciso, sono qui per quello e quello farò, basterà trovare l’occasione e …il coraggio.
E lei si sveglia, apre due occhi chiari da bambina e mi sorride. Mi turba il suo sguardo, mi irrita il suo sorriso, mi fa venir voglia di offenderla o di chiederle in malo modo cosa vuole da me, e che la smetta di fissarmi con quegli occhi chiari, innocenti, insopportabili…ma le parole non vengono, quelle parole con cui avevo insultato con facilità sino a poche ore prima chi diceva di amarmi, per poi fuggire, sorda ai richiami, ritrovarmi sola su quel treno a mettere in pratica un gesto più volte meditato….
La guardo imbronciata mentre si alza e passa davanti a me per alzare il vetro del finestrino,(“ no, non farlo” grida la mia voce interiore, “ non rendermi la cose più difficili…”) e nel movimento che fa alzando le braccia, noto la stranezza di quell’abito: due lunghe fessure parallele lo tagliano verticalmente; bordate di ricami color argento come le maniche e l’orlo, scendono dalle spalle sino alla vita per richiudersi all’altezza dei fianchi.
Deve portare qualcosa sotto, forse un maglione, qualcosa di bianco e morbido che appare e dispare. Penso in modo confuso, distratta dall’apparire improvviso della galleria, che ormai è estate, che fa troppo caldo per portare ancora un maglione, e che non me ne importa niente, perché ormai siamo nel buio totale e lei può vestirsi come vuole, io ho cose più importanti a cui pensare…
La luce.Il mare.
ORA.
Sono io quella che abbassa il finestrino? Io quella che ha deciso? Io quella che si lancia?
Io che mi ritrovo in volo, chiusa tra le sue braccia, vedo le sue ali, bianche, dispiegate fuori dal kaftano blu, muoversi nel vento, avverto il suo profumo che è uguale a quello del mare, mentre mi deposita, dolcemente, nel mio letto, nella mia casa perché possa credere domani al mio risveglio che è stato tutto soltanto un sogno.
IL SOGNO DI DANIELE
Il sogno si ripete da varie notti, sempre uguale, al punto che si è convinto che non sia altro che il ricordo di una vita precedente.
Si ripresenta, puntuale, a intervalli regolari. Anche stanotte…
Daniele giace immobile, sotto le coperte, non osa muoversi, quasi pauroso che movendosi possa cambiare qualcosa.
Il verde è il colore dominante del sogno, verde chiaro all’inizio del costone, scuro nella zona del trifoglio, cupo nelle zone d’ombra e vicino alla casa: più un ricovero per pastori e animali che una casa vera e propria, quattro mura ingrigite dal tempo, mai imbiancate dalla prima volta e da quella prima volta è passato tanto tempo che nessuno ne conserva più il ricordo.
Nel sogno gli sembra di volare rasoterra, a pochi centimetri da tutto quel verde intenso, sino alla “casa”.
Come sempre, il panico lo assale e tuttavia non lo sveglia, nel sonno avverte il terrore di affrontare qualcosa di nuovo e d’inevitabile, sente la possibilità di svegliarsi se solo lo vuole, ma non vuole. E’ una sensazione troppo forte, intensa, come fosse uscito dal proprio corpo e vedesse un altro volare al posto suo
Ha sentito parlare di persone che riescono ad uscire dal proprio corpo per volare altrove, è di questo che ha paura? E’ questo che sta succedendo?
Daniele forza il sogno, vuole che continui e invece quello si ferma lì, sulla soglia nera di quelle quattro mura dimenticate, s’interrompe all’improvviso e Daniele apre gli occhi nel buio. Sa cosa troverebbe all’interno se solo il sogno lo facesse entrare e a questo punto forse il sogno è ricordo, ma così remoto che non sa dire se appartenga a questa stessa vita, in una primissima infanzia semi dimenticata o ad una vita precedente di cui solo qualche barlume potrebbe affiorare alla memoria: un camino nero e profondo proprio di fronte all’entrata, un odore intenso di cavoli e di sudore, di fumo e di panni poco puliti.
Ma stanotte è diverso, nel buio Daniele ha richiuso gli occhi, stanotte è riuscito ad entrare nella casa..
C’è una persona nella stanza, una giovane donna vestita di nero, uno scialle di lana dalle lunghe frange le ricade sulle spalle; china verso il focolare, è intenta a rimestare qualcosa in un grosso paiolo nero, si gira quando avverte una presenza dietro di sé, con calma, senza paura,” sei arrivato, finalmente” dice e Daniele la guarda e la trova attraente, un viso mai visto eppure familiare, due occhi verdi sotto la crocchia dei capelli neri, lucidi, una piccola perla incastonata in un cerchietto d’oro le pende dal lobo di un orecchio.
“ Sei tu, Emanuela…” e d’improvviso sa di conoscerla da sempre e nello stesso tempo sa anche che sta sognando e che nella sua vita da sveglio non conosce nessuna Emanuela e allora chi è questa donna e quando l’ha incontrata e quando l’ha persa di vista e vuole svegliarsi per uscire dal sogno e non vuole svegliarsi per stare ancora con lei e riuscire a parlarle e saperne di più.
Daniele si guarda intorno, le pareti annerite, la vecchia piattaia sopra al lavello, la credenza accanto alla madia del pane, in fondo alla parete, dietro al camino, un passaggio verso un’altra stanza: una camera con un cassettone e un letto matrimoniale di legno scuro, tarlato in più punti.
“Emanuela…” Daniele non sa dire altro, lo sguardo fisso su di lei. anche lei lo guarda, abbozza un gesto per riavviarsi i capelli, e nel gesto sente la mancanza del cerchietto con la perla , rimane un attimo sospesa, poi si china, fruga con le molle tra la cenere, tasta con le mani tra le grandi piastrelle sconnesse del pavimento, la gonna lunga intralcia i movimenti, la ripiega sotto le ginocchia e in ginocchio continua a cercare, piccoli gesti impazienti, ma non si dà per vinta: quel che cerca deve esserci, per forza…lacrime miste a gocce di sudore le scendono dal viso mentre cerca di scostare lunghe ciocche ribelli.
Daniele la guarda, in silenzio, non gli viene in mente di chinarsi ad aiutarla, la guarda e basta,immobile sulla soglia, lo sveglia il sole che penetra dalla finestra della sua stanza, guarda l’orologio, è tardi, il sogno è durato a lungo questa volta, deve correre se vuole arrivare in orario alla sua lezione, non c’è tempo per la colazione né per rifarsi il letto, infila le prime cose che trova e corre via.
E alla sera, Daniele rientra, ha passato una giornata tra aule scolastiche e libri in biblioteca, ha pranzato in mensa con i suoi compagni di studi ed è riuscito a baciare la ragazza più carina del suo corso, per questo è molto felice, si prepara un toast, prende una lattina di coca cola dal frigo, li mette su un vassoio e porta tutto in camera. La vista del letto sfatto lo irrita la frazione di un secondo, non importa, va bene così, si dice, appoggia il vassoio sul tavolino e afferra una coperta, qualcosa lo gela e rimane immobile tra lo stupore e la costernazione: sopra il lenzuolo, bene in evidenza vicino al cuscino, brilla una piccola perla incastonata in un cerchietto d’oro.
MAGARI E’ MARCELLO
Mi svegliai al suono del campanello.L’orologio alla parete segnava le sette e mezza di giovedì 8 aprile. E sulla porta, mi si parò davanti la mole della signora Gilda, affannata, spaventata: ” signorina, signorina Lucia, i ladri, ci sono i ladri… nell’appartamento di mio figlio Marcello…li ho sentiti, sono sicura.”
Dall’appartamento del piano di sopra, quello del signor Marcello De Paoli, vent’otto anni, scapolo, arrivavano rumori soffocati, frammenti di frasi. Ferme sul pianerottolo, ci guardavamo senza il coraggio di bussare per vedere se Marcello era proprio partito.
” Magari è lui” dicevo senza convinzione. Ma no, ma no, rispondeva la Gilda, ma no, non può ess
ere, Marcello è in viaggio. E’ partito ieri, per lavoro, non può essere già rientrato, un viaggio così lungo, …sono venuta per annaffiare le piante, per mettere un po’d’ ordine, sa questi ragazzi soli…stavo per entrare, ho le chiavi, ho sentito dei rumori e ho paura… signorina Lucia, mi faccia telefonare da casa sua, per favore…”
Il tempo di scendere, chiamare la polizia, risalire e da quella porta non proveniva più alcun rumore.
“ Forse i ladri se ne sono andati, dissi, mi dia le chiavI, proviamo ad entrare”. E lei no, no, aspettiamo che arrivi la polizia e poi apriamo. E a un certo punto arrivò la polizia e aprimmo la porta e sì. nell’ingresso, c’erano due persone ma una era Marcello e l’altra una ragazza esile, bionda e si stavano baciando.
Mi addormentai quella sera che sorridevo ancora per quell’equivoco e per la faccia che aveva fatto la Gilda a vedere suo figlio che sapeva in viaggio e invece …..
Mi svegliai di soprassalto: qualcuno suona alla porta.guardai l’orologio appeso al muro: le sette e mezza di: giovedì 8 aprile. Aprii la porta. La signora Gilda mi investì di parole urlate col fiato corto: “ signorina, signorina Lucia, i ladri, ci sono i ladri… nell’appartamento di mio figlio Marcello…li ho sentiti, sono sicura.” E davvero, ora che eravamo sul pianerottolo del piano di sopra, ci arrivavano deboli rumori, risatine soffocate, ritagli di parole incomprensibili.
“ Magari è Marcello” dissi, ma lei negava, diceva che senz’altro suo figlio era partito, era per lavoro, figurarsi, no, senz’altro sono i ladri e… bisogna telefonare alla polizia…signorina Lucia, per piacere,mi faccia chiamare.
Scendemmo insieme, parlai io per qualche minuto con un poliziotto condiscendente e poi tornammo davanti a quella porta dalla quale non proveniva più alcun rumore, con la Gilda che aveva più paura di prima. “ No, non entriamo ancora, rispondeva alle mie richieste. Aspettiamo l’arrivo della polizia.” E a un certo punto arrivò la polizia e aprimmo la porta ma non c’erano i ladri c’era Marcello e una ragazza bionda e si baciavano.
Andai a letto quella sera che ridevo ancora per la storia di Marcello e della sua ragazza e per la faccia che aveva fatto sua madre nel vederli abbracciati.
Mi svegliò la mattina dopo lo squillo del campanello. Guardai l’orologio sulla parete davanti al letto: erano le sette e mezza di giovedì 8 aprile. Chissà chi era che suonava con tanta insistenza a quell’ora del mattino…
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