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   LA DECISIONE  DI ERICA

 Erica si fermò un momento a rileggere le righe sul foglio bianco, scritte così di getto che ora le sembrava che la mano, mettendole sulla carta, avesse preceduto i suoi pensieri. Era frustrante non riuscire ad esprimere tutta la rabbia di quei giorni, cercava  parole per continuare, frasi capaci di ferire, ma la sua mente si rifiutava di pensare, vuota come la penna quasi scarica che teneva fra le dita.

Cercò di riordinare i pensieri, di allinearli alle sue esigenze deluse, provò a immaginare di avere accanto un’amica a cui confidare le sue illusioni… niente, il cervello si rifiutava di cooperare. Decise di alzarsi e di cercare un’altra penna, una matita, qualcosa per continuare a scrivere perché le sembrava che concludere quella lettera fosse un’esigenza primaria senza la quale la sua vita non sarebbe potuta cambiare.

La distrasse il suono perentorio del campanello della porta. Conosceva bene quel modo di suonare: Flaminia, non poteva che essere lei. Per un attimo le venne la tentazione di non scendere ad aprire e di forzarsi a concludere quella lettera in qualche modo e poi lasciarla sulla scrivania di Andrea, in bella mostra, sopra le fatture commerciali. Scostò la tenda: nello spiazzo ghiaioso sotto la finestra era posteggiata la  toyota grigia  di Flaminia e Gianmario. Li vide in piedi accanto al portone d’ingresso e solo allora  si ricordò del loro appuntamento e che erano venuti per  ritirare i cartoni di vino per la festa d’anniversario del loro matrimonio. Trasalì realizzando che non aveva ancora preparato niente e che certamente Andrea non l’aveva fatto  al posto suo.

Scese di corsa le scale, attraversò a passi rapidi il locale a pianterreno, arrivò affannata all’ingresso, chiamò gli amici che già si stavano allontanando,  “Scusate, ma non ho avuto il tempo ” si scusò ”no, non dite niente…ho torto, torto e voi, voi avete ragione, perfettamente, ma non avuto il tempo, ci sono state delle… insomma chi aveva promesso di venire ad aiutarci non si è presentato e ... insomma, Andrea è in paese, sta cercando gente…. so che andava a prendere Giulio e Lorella e poi passava da Maria Chiara… anche Milvio  ci ha fatto una  mezza promessa di venire, ma sapete com’è lui… non c’è mai troppo da fidarsi….”   Parlava in fretta e il tono era quello ilare di sempre, incapace di sfogarsi, mentre avrebbe voluto raccontare almeno a loro, l’ansia dell’attesa di tutte quelle persone che avevano promesso di venire ad aiutare e la rabbia quando l’avevano chiamata per avvertirla che non sarebbero venuti e l’ amarezza per  non essere riuscita  ad accontentare loro, proprio loro, i suoi amici d’infanzia, anzi di essersene  addirittura dimenticata.

Flaminia e Gianmario, fermi sulla porta, l’ ascoltavano in silenzio, sorridendo. “ non importa” dicevano” sappiamo che sei presa, facciamo la settimana prossima, dai” e poi erano risaliti in macchina ed erano partiti sgommando sulla ghiaia del cortile.

Rientrò col pensiero fisso alla lettera incompiuta, abbandonata sul tavolo della cucina e nello stesso tempo, le sembrò di sentire la voce del padre dietro di sé: “Erica,  quando devi prendere una decisione importante, lascia passare cinque minuti, cinque minuti soli, e poi agisci”.   Così reale  che ne sentì la presenza  e si fermò un attimo, sconcertata. Si voltò anche e poi si diede della stupida. Papà non c’era più da tanto tempo ormai, che cosa le stava capitando?

 “ Bene” disse “ farò così,cinque minuti, ok,  tanto  lo sai che la mia decisione è quella e non cambierà, papà, guarda, il tempo di una sigaretta e poi andrò a finirla, quella  benedetta lettera e questa volta per davvero.  Andrea non mi troverà, è sicuro, dovrà fare tutto da solo e imparare ad arrangiarsi finalmente.”.

 Raggiunse il portico dietro alla casa e vi si appoggiò, la sigaretta stretta fra le dita.

Il sole del primo pomeriggio illuminava il vigneto: una distesa di verde a perdita d’occhio, fino al confine del paese. La vigna: l’eredità del padre. C’era cresciuta in quella vigna,  aveva imparato a conoscerla sin da bambina quando lui la portava con sé lungo i filari e le parlava dell’uva e del lavoro che occorreva per trasformarla in vino, e  della pazienza e della fatica per portare avanti tutto, e di quegli anni in cui la grandine era riuscita a distruggere la maggior parte del raccolto e di quelli in cui l’uva era venuta su così bella e così abbondante….  e il vino era stato messo a invecchiare nelle botti allineate nella vasta cantina  sotto casa.Erica trasse un sospiro. “ Andarsene… ma dove sarebbe potuta andare, quella era la sua vita,  quella era la sua vigna…  con l’ansia per una grandinata improvvisa, con la sensazione di serenità che le dava  tutto quel verde che le si stendeva davanti, e poi, alla fine dell’estate, l’attesa di chi veniva ad aiutare e  l’ appagamento che le riempiva il cuore quando scendeva anche lei tra i filari a riempire i cesti di uva dorata.

Spense la sigaretta, dimenticata, non fumata, diventata una striscia sottile di cenere grigia,   e in quel momento le venne in mente la madre, piccola e dolce ma con la forza d’animo di ottenere quello che voleva. E lei? lei cosa voleva dalla vita?  Certo non andarsene. Andarsene voleva dire abbandonare la vigna e il suo mondo, e Andrea?  Lai aveva voluto Andrea, l’aveva  voluto fortemente e per lui aveva vinto le resistenze dei genitori, l’aveva sposato nonostante la loro diffidenza.

Ma era  stata  poi così male la sua vita con Andrea? O era lei che non sopportava più niente, che esagerava con la sua pignoleria e la mania di perfezionismo, forse era colpa sua, perché aveva  sempre preteso troppo anche da se stessa e ora la stanchezza prevaleva su di lei, distruggeva l’entusiasmo provato all’inizio di ogni vendemmia.  Forse era lei che era cambiata…

 Guardò l’orologio. Le sembrava che fosse passata un’eternità da quando era uscita sul portico, ma erano passati “cinque minuti soli”…. come diceva papà.

Si riscosse e rientrò in casa, salì lentamente le scale  ed entrò in cucina. La lettera era appoggiata sul tavolo, la rilesse, e solo allora notò che aveva sbagliato la data, che stupida, si disse, perché maggio? Perché non ho scritto settembre?  E in quel momento non le venne neanche in mente che era il mese in cui aveva conosciuto Andrea, tanti anni prima. Ma non importa, si disse, tanto non serve più, prese il foglio tra le mani e lo ridusse in  pezzetti minuscoli, accanendosi perché non vi si potesse leggere più che qualche sillaba, gettò tutto nel secchio dei rifiuti, infilò un paio di grosse forbici nella tasca del grembiule e si avviò, sola, senza aspettare nessuno, a iniziare la “ sua “ vendemmia privata.  

 

 

 

 LA FOTOGRAFIA


La fotografia è là, sul comodino, fra i suoi libri.

Valentina l’ha trovata solo pochi giorni prima, incastrata all’interno della fodera che ricopre il divano, finita lì chissà come, e ha pensato ad una dimenticanza degli inquilini precedenti.

Due ragazzi giovani, sposati da pochi anni, lei aspettava un bambino e occorreva una casa più grande; avevano traslocato in fretta, forse avevano dimenticato loro quella foto, forse non si erano neanche accorti di averla persa.

L’appartamento ideale per lei ed Enrica, lontano dal centro, a pochi passi da città studi, mezzi per gli studenti, una trattoria sotto casa.

 Valentina si siede sul letto e rigira tra le mani il cartoncino: è una vecchia fotografia dai toni sfumati color seppia, sul retro, due nomi,  una grafia elegante, piena di svolazzi: Lidia e Renato e una data quasi illeggibile.

Lidia è seduta su una panchina tra gli alberi di un parco, un braccio affusolato sulle volute di ferro, l’altro, posato sulla gonna lunga sino alle caviglie, le ginocchia unite come voleva l’educazione delle ragazze di buona famiglia. Ci deve essere del vento fra gli alberi perché qualche ciuffo ribelle sta sfuggendo alla stretta delle forcine; Lidia ha tolto il cappellino e lo ha posato sulla panchina, accanto a sé. Ora sorride al fotografo, un sorriso aperto, sbarazzino, da complice. In piedi dietro di lei, Renato le posa una mano su una spalla, in un gesto confidenziale e guarda fisso davanti a sé, occhi scuri dietro  piccoli occhiali cerchiati d’oro, occhi seri sotto una fronte alta, capelli chiari riga in mezzo e baffetti radi. Si indovina una certa familiarità in quella mano che si appoggia sulla spalla della donna, forse sono fidanzati da tempo, forse già sposati. Valentina cerca di immaginare la loro vita, vorrebbe saperne di più ma non sa come fare, non importa, pensare a loro la affascina, diventa il suo divertimento serale. Cerca di indovinare quale vita si nasconde dietro a quegli sguardi, cerca situazioni diverse,  una sera  sono due amanti sfuggiti ai loro impegni famigliari, un’altra due sposi la sera delle nozze, la sera dopo, due fratelli lontani da casa pronti a spedire la foto ad amici e parenti.

E stasera ha una nuova storia  per loro, una storia di amore contrastato e di fughe romantiche, ha deciso che la scriverà questa storia, ha già pensato anche al titolo, ma vuole silenzio. E il silenzio non c’è. Non può esserci con Enrica. Enrica, esuberante, caotica, ha perso qualcosa, non può esserci altra spiegazione,  la sente mentre si agita nella stanza vicina, rumore di oggetti spostati, di libri gettati a terra, parole  gridate con rabbia.

La vede entrare nella stanza come una furia :” Vale, hai visto per…” Si blocca, la rabbia si cambia in sollievo. “ Ah, ce l’hai tu.. l’hai trovata tu, meno male, è il mio solito disordine naturalmente, quella foto… non dirmi che è capitata tra le tue cose, sai da quanto la cerco, ero disperata, la devo consegnare domani, è l’ultimo lavoro assegnato dal prof di informatica, pensa questi due non si sono mai conosciuti e, a dire il vero, così come li vedi, non sono mai esistiti… tutto costruito, pensa a cosa ho imparato a fare con il computer… non sei felice?”

                   

 

 
 

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