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AUGUSTO TIRA SU COL NASO

 

 Augusto tira su con il naso, lo fa con forza, ogni due secondi. Non lo sopporto, non sopporto lui e neanche il suo eskimo verde bottiglia che non toglie mai, neanche su questo treno della Nord, con i sedili troppo caldi, che  dicono che è un diretto, ma fa comunque troppe fermate, troppo tempo a sopportare qualcuno, lui, Augusto che tira su col naso, ogni due secondi.

“ Scusa, ho un esame, stamattina, vorrei ripassare” e prendo tra le mani la dispensa di  geografia, non ho studiato molto, non mi piace geografia, fidavo soprattutto in quest’ora per ripassare qualcosa, ma Augusto non dà tregua: ha voglia di parlare, stamattina con un gruppo di compagni, comincerà l’occupazione alla Statale, parla di Bob Dylan e di Malcom x, di Luther king, lo sento nominare il Che, non lo seguo, mi perdo nei meandri dei suoi ragionamenti, quando parla non tira neanche su col naso , meglio così, è già qualcosa. Sguardi furtivi alla dispensa aperta sulle mie ginocchia. Mi manca l’ultima parte, tre o quattro pagine, ma vuoi vedere che faranno delle domande proprio lì?

Arrivati. Il treno si ferma: Il freddo pungente dell’inverno milanese, tram e quattro passi a piedi: l’atrio della Bocconi, luminoso, pieno di studenti. Gonne a fiori, lunghe alla caviglia, jeans datati, ragazze e ragazzi seduti sui gradini che portano alle aule, alla biblioteca, mi guardo intorno, non conosco nessuno, tiro avanti. Per le scale mi viene incontro Lidia, “ Stanno occupando, ma vieni, forse l’esame riusciamo a farlo lo stesso” “ perché ?” chiedo” perché occupano?che sta succedendo?”

Mi guarda e risponde “Tu lo sai? .” che non è una risposta, è ancora una domanda, ma non c’è tempo per approfondire, l’esame, se c’è, comincia fra cinque minuti e abbiamo ancora un piano di scale.

L’aula magna è piena di studenti: voci, notizie che si rincorrono, si contraddicono, “ è un esame scritto, non interrogano, …su, su… salite in alto.. ci sono ancora posti e lì, è più facile copiare…lo passiamo questo esame,  i professori sono stanchi , troppe contestazioni, sono arrabbiati, daranno il 18 politico. Mi vergogno, ma copio, anch’io come gli altri, la dispensa sotto il banco, cerco do cambiare le parole, sguardi verso la cattedra, il professore legge il giornale

 Fuori commentiamo, c’è anche Marco, lui non ha copiato, ha dimenticato gli appunti a casa, si guarda intorno smarrito, un po’ triste, vedrai che andrà bene lo stesso gli dico non ti preoccupare, passiamo tutti.

Ci ritroviamo nell’atrio, due giorni dopo, gonne a fiori alla caviglia, jeans sdruciti e qualche sacco a pelo, i nostri sguardi sul tabellone dei risultati dell’esame di geografia. Commenti, mormorii, stupore: per tutti, lo stesso voto: diciassette.  Solo Marco è passato. Chi ha corretto il suo compito, ha aggiunto la parola “politico” al suo diciotto.

 

 

          I RICORDI FANNO DIMENTICARE

 

 

Sollevata tra i cuscini del letto, guardavo verso la  finestra, cercavo di dare un nome ai  rumori della strada.

La notte era appena cominciata, ma già mi pesava sulle spalle, mi lasciava dentro un senso di impotenza, d’inevitabile.Una notte lunga, come altre notti prima, mille volte sveglia, mille volte assetata, senza aver cognizione del tempo che passava tra un risveglio e l’altro, gli occhi sui vetri per scorgere il primo chiarore del giorno..

 “ Quando il dolore ti assale, cerca di pensare ad altro,” aveva detto la mia amica  Gemma il giorno prima, durante una delle sue visite e  avevamo chiacchierato e riso anche, di un ricordo comune che era riaffiorato all’improvviso nonostante quel dolore che non mi abbandonava mai, e lei aveva ripetuto portandosi alle labbra la tazza calda di thè fumante: “ Ecco, vedi, Isa,  i ricordi fanno bene, i ricordi fanno dimenticare, quelli belli, quelli teneri o divertenti, “cerca di pensare ad altro, fruga tra i tuoi ricordi, i più sereni, quelli che a pensarci ti fanno ancora ridere, concentrati su di loro, crea una distrazione.”

Adesso mi sforzavo di darle retta, di trovare un ricordo qualsiasi, ma non ci riuscivo, non riuscivo a ricordare niente anche se dicono che quando ti senti morire, la tua vita ti scorre davanti… io non ricordavo niente, forse non avevo vissuto, forse non ero neanche lì in quel momento

Mi sono alzata e ho cercato con movimenti lenti, irreali, la scatola delle fotografie, ci ho messo un tempo che mi è parso infinito ad avvicinarmi alla libreria, a prendere la scatola… troppo pesante… mi si è aperta tra le mani, mi è caduta  e il contenuto si è rovesciato sul letto, si  è sparso tra le lenzuola.

La testa appoggiata ai cuscini, le guardavo ad una ad una, cercando di ricostruire dei ricordi, ma non mi dicevano niente. La mia mente si è persa tra tutte quelle immagini: confondevo situazioni, visi, anche quelli più cari, quale delle mie due bambine ? Raffaella o Liana? E questa? Zia Loretta? Zia Marcella?

Figure in bianco e nero, con me bambina tra i miei fratelli, ( com’era buffo Cristian con quei pantaloncini corti, ma era Cristian o Diego?) in bicicletta, al parco, sul terrazzo della nostra prima casa.

Rabbia, delusione. Non mi dicevano niente, così non funzionava, i ricordi duravano il tempo di qualche secondo e poi si sfilacciavano ed era inutile inseguirli:  non mi dicevano niente: pezzetti di carta inutili, vecchie foto di una vita che poteva anche non essere stata la mia… mi mancava la forza per pensare, per guardarle, per strapparle, come avrei voluto fare, tutte, ad una ad una e invece le ho lasciate cadere e sono rimasta così, immobile, con gli occhi chiusi e poi ho 
sentito la presenza di Ezio e con lui c’era Fiorenza o forse Liana e mi hanno sistemato per dormire e tirato le lenzuola e chiuso la finestra e se ne sono andati senza dire niente perché credevano che dormissi.

Sdraiata sul letto, guardavo il buio e non sentivo più i suoni della strada,non sentivo più niente,  mi sembrava invece di sprofondare in una sorta di spirale che m’ingoiava lentamente tirandomi in basso, sempre più in basso, adesso muoio, pensavo, adesso…. Ma io non ho paura, non ho pau…

…………….

Guardo la stanza rischiarata dal sole, mi guardo, ancora, un’ultima volta, sul letto.

E poi entra Ezio

Ed è sereno perché ancora non sa, si avvicina al letto e mi parla e io non rispondo e anche adesso che ha capito continua a parlare, di me, di lui, della nostra vita, mi riempie di parole e di ricordi,  e io lo guardo, dall’alto, non so cosa provo.. paura, forse…per lui, per loro,  del momento in cui lui smetterà di parlare.

 

 
 

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